Descrizione
Secondo libro del fotografo Marco Lussoso che ha realizzato per raccontare le sue prime esperienze di fotoreporter a Milano.
Il libro fotografico ha i testi della giornalista di moda e costume, Loredana Ranni, che ha scritto la prefazione e sotto ogni fotografia ha scritto una frase ispirandosi all’immagine.
“E se iniziasse come un romanzo? Come lo definiresti?” Mi chiese Marco la prima volta che m’illustrò il suo progetto. Entrambi, anche se non ce lo dicemmo subito, pensavamo infatti che libro fotografico era sì la dizione esatta del genere entro il quale l’opera si sarebbe inserita, ma troppo lontana dal concetto che le immagini contenutevi esprimevano. Continuai a guardare le foto ad una ad una, cercando il filo conduttore che avrebbe anche dovuto determinare il titolo.
I fatti di cronaca erano mostrati attraverso il dramma di chi li viveva, i personaggi famosi colti in quei momenti così raramente espressi in pubblico, le azioni degli atleti fermate nel fotogramma che meglio rendeva l’idea dello sforzo umano o dei loro pensieri e il mondo della moda – negli sguardi di donne e uomini desiderabilissimi – aveva ben poco di quella frivolezza solitamente attribuitagli.
“E una riflessione sull’uomo, vero?” Gli dissi, certa che da quel momento le immagini avrebbero versato fiumi di parole, le quali sarebbero andate tutte a confluire nella solitudine degli individui, individui costretti ad essere catalogati e schematizzati dalle loro stesse libere scelte, individui incasellati da ideologie fin troppo semplicistiche, individui incapaci di adeguarsi e per questo abbandonati.
“Un libro, però, nel momento in cui viene giudicato dal pubblico, non è quasi mai ciò che l’autore voleva che fosse…”
obiettò Marco, non per contrapporre la sua tesi alle mie conclusioni, ma quasi a ribadire quel rispetto verso il prossimo che gli riconoscevo nell’attività professionale come nella vita privata, quella mitezza che gli era così propria ma che si trasformava in una grinta senza pari nel momento in cui teneva la macchina fotografica tra le mani.
Oggi, a distanza di diversi mesi, dopo aver rivisto le foto ad una ad una per l’ennesima volta, credo ancora di più che il pubblico possa vedere attraverso lo stesso obbiettivo fotografico di Marco e, con lui, provare la sensazione di “essere stato lì…”
Che cosa significa fare il fotoreporter?
“Osservare tutto quello che succede intorno e concentrarsi per riuscire a racchiudere, in un’unica foto, la sintesi degli avvenimenti. Andare oltre le proprie emozioni per creare negli altri, attraverso quella foto, le loro emozioni…
Mi è successo più di una volta di essere giudicato cinico, per il fatto di non partecipare al dolore che fotografavo. Non ho mai spiegato a nessuna di quelle persone che mi giudicavano, però, che dovevo avere un grande autocontrollo per riuscire a documentare e testimoniare i fatti che accadevano. E che usavo quelle stesse emozioni così controllate per trasmetterle nella foto che stavo realizzando…
In certi momenti ho pensato che forse è più importante documentare la realtà e che la propria vita è irrilevante rispetto al lavoro che si sta svolgendo…
Ho fatto migliaia di foto, da quando mi hanno pubblicato la prima nel 1979. Eppure ancora oggi credo che un’immagine possa essere una buona fotografia anche se imperfetta, sfocata, sbilanciata: per essere una buona fotografia le basta provocare un’emozione…
Le mie fotografie le ho sempre pensate pubblicate sui giornali, perché la gente le possa vedere e capire, vedere e pensare. E’ attraverso le immagini, quelle che racchiudono la realtà di tutti i giorni, che mi sembra di stabilire un dialogo con la gente…”
(Da una conversazione con Marco Lussoso del settembre 1993)
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